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La condizione operaia
Le abitazioni
A Mongiana, a seguito della realizzazione degli stabilimenti metallurgici, si costituì un agglomerato urbano, che arrivò nel corso dei decenni a contare oltre 1.000 abitanti che dipendevano esclusivamente dalla vita della ferriera.
L’intero villaggio si sviluppò in modo quasi spontaneo e fu costruito materialmente dagli abitanti, tutti operai delle Reali Ferriere e Officine di Mongiana, che realizzarono un vero e proprio quartiere operaio adattato alle esigenze del vivere in un luogo isolato e con un clima particolarmente rigido in inverno. 
Ogni cellula abitativa era molto simile all’altra: camera grande con il focolare e la cucina al piano terra, al livello interrato era collocata la legnaia mentre al piano superiore le stanze da letto a cui si accedeva attraverso una ripida scala. Solo per alcune case dalla camera o dalla cucina si accedeva a un piccolo cortile posto sul retro generalmente adibito a orto. Queste erano abitate dai tecnici e dagli impiegati dell’amministrazione costruite in luogo delle vecchie baracche di legno.
Gli operai e i manovali invece alloggiavano in stanzoni di legno adiacenti la Fonderia o in locali ricavati nei solai del Carbonile e del Deposito.
Dopo la prima e lunga fase delle costruzioni in legno, il centro urbano fu abbellito con il granito grigio locale, mentre l’uso del mattone fu limitato ai casi edilizi più rappresentativi come la Fabbrica d’Armi, la Fonderia, la Chiesa e la Casa del Comandante costruiti in blocchi di granito irregolari e mattoni.
 
Fenomeni naturali
Le condizioni di vita negli oltre cento anni di attività del polo siderurgico furono caratterizzate, e spesso anche penalizzate, da una serie di calamità naturali ed epidemie che spesso destabilizzarono la produzione stessa e le condizioni di vita degli operai.
Si ricordano i terremoti del 1783, l’epidemia di vaiolo del 1785-1786, le alluvioni e le inondazioni del 1792 e 1795, l’epidemia di colera del 1837 e le inondazioni del 1855.
 
L’alimentazione
Gli operai mongianesi, che formavano la maggior parte della popolazione, inizialmente consumavano per lo più patate, pane e vino che compravano nelle bettole e al mercato locale. Invece gli oltre 500 operai Serresi si recavano spesso nel loro paese per far provviste di quegli alimenti che scarseggiavano nel mercato di Mongiana e che comunque era troppo cari.
Considerata questa situazione i Direttori degli stabilimenti, così come praticato in tutti i grandi stabilimenti industriali dell’epoca, fecero istituire due cantine capaci di fornire cibi sani a prezzi modici.
L’alimentazione comunque rimase parca e spartana, non troppo diversa da altri paesi montani, con una dieta essenzialmente caratterizzata dal consumo di legumi, patate, uova, farinacei come pane e pasta fresca, formaggi, broccoli, ortaggi, noci, castagne, frutta secca, frutta di stagione e conserve casalinghe come anche insaccati.
Si consumava carne di capra o di maiale, raramente quella di pollo e di coniglio e praticamente mai capretto o agnello. Non si macellavano i vitelli in quanto essi erano utilizzati per il trasporto e il traino di legname.
Dalla caccia si ottenevano cinghiali, caprioli, beccacce, quaglie, lepri e altri animali che popolavano le Serre.
Grazie alla vicinanza con Pizzo arrivava a Mongiana anche il pesce, consumato però soltanto dai più facoltosi, gli altri consumavano acciughe in salamoia, baccalà e stocco.
Non si consumava molto vino e pare che l’alcolismo fu un fenomeno quasi del tutto sconosciuto a differenza degli altri poli siderurgici Europei.
 
I cicli di produzione
La presenza di acque fu uno degli elementi favorevoli per l’ubicazione delle Reali Ferriere e Officine in questo territorio, le cui cadute alimentavano le trombe idroeoliche degli altiforni e rendevano possibile muovere ruote e ingranaggi, l’unico handicap iniziale fu la scarsa portata estiva.
Tra il 1773 e il 1778 gli accorgimenti tecnici realizzati su progetto dell’Architetto Mario Gioffredo, le campagne fusive a Mongiana avevano la durata di 5 o 6 mesi l’anno.
Per via di questi iniziali cicli di produzione, per molti mesi dell’anno la classe lavoratrice di Mongiana si trovava senza lavoro e nella quasi impossibilità di sfamare la propria famiglia.
Nel corso degli anni gli impianti idrici furono notevolmente migliorati. Intorno al 1850 preziosi accorgimenti tecnici permisero di aumentare la campagna di fusione annua da 6 a 8 mesi e, quando negli anni successivi sarà ordinato di far lavorare gli altiforni con sovraccarico di minerale per produrre la ghisa bianca da inviare ai forni di pudellatura di Pietrarsa, la campagna sarà estesa a tutto l’anno.
Per sopperire alla magra estiva dei fiumi gli altiforni saranno dotati di una macchina a vapore con funzionamento di iniettori d’aria. Fu il grande ingegnere Fortunato Savino a inventare questa particolare macchina a vapore, chiamata “Ventilatore”, un’autentica rarità per quell’epoca.
 
Il lavoro
Il polo siderurgico di Mongiana fu da subito in grado di attrarre persone che provenivano dai villaggi vicini in cerca di occupazione. Di conseguenza il paese sorto intorno alla fonderia, nel primo decennio, si sviluppò rapidamente con la costruzione di nuovi edifici e abitazioni per gli operai.
Il lavoro, sia nelle miniere e sia nelle ferriere e officine di Mongiana, era molto duro e scandito dai ritmi dei cicli di produzione. La condizione operaia comunque fu progressivamente resa meno dura grazie ai progressi tecnici impiegati nei processi di estrazione e di raffinamento del ferro, progressi che consentiranno anche un notevole aumento della quantità e della qualità di produzione.
Benché ancora la coscienza di classe non fosse ancora sviluppata, a Mongiana non mancarono clamorose proteste, scioperi e rivolte per opera di categorie meno privilegiate, a esclusione dei fonditori e degli specializzati. Infatti, le paghe dei capi officina e degli specializzati (limatori, tornitori, modellatori) erano di gran lunga superiori a quelle dei minatori, dei carbonari, dei trasportatori e degli operai.
Si ricorda, per esempio, la rivolta del 1826 con scioperi che bloccarono le operazioni di estrazione e trasporto. Le categorie coinvolte erano i minatori e i trasportatori, i primi si ribellavano per le disagevoli condizioni di lavoro mentre i secondi chiedevano un adeguamento dei guadagni. La Direzione dovette intervenire concedendo migliorie.
Nonostante la dura vita, le condizioni degli addetti ai lavori non raggiunsero mai i livelli spesso drammatici di quelli di altre nazioni, sia in Italia sia in Europa. A Mongiana mancò infatti lo sfruttamento delle donne e il lavoro minorile fu limitato a funzioni marginali.
Gli orari di lavoro erano ridotti, l’operazione di scavo proseguiva tutto l’anno con orario di lavoro di otto ore (un traguardo raggiunto dai minatori europei solo nella seconda metà del secolo XX), mentre per tutti i lavoratori di fonderia la durata della giornata lavorativa era stabilita in 10 ore giornaliere (un traguardo che sarà raggiunto agli addetti della siderurgia italiana dopo il 1910).
Gli operai di Mongiana ottennero una sorta di contratto di lavoro normativo-previdenziale, “la Cassa degli Operai”, che prevedeva: medico di fabbrica, indennità di assistenza agli invalidi, indennità di vecchiaia con 35 anni di lavoro, sostentamento alle vedove degli operai morti sul lavoro e agli orfani per i quali restava in ogni caso il diritto di lavorare nel comparto, indennità di matrimonio per chi decideva di abitare a Mongiana.
E ancora, a Mongiana vi era una Farmacia, il suo gestore fungeva da Medico, e nel 1840 fu mandato un chirurgo per assistere gli abitanti e gli operai in caso di incidenti sul lavoro. Inoltre fu istituita una scuola tecnica, ospitata in alcuni locali della Fabbrica d’Armi, gratuita e obbligatoria per tutti i giovani figli degli operai che lavoravano nello stabilimento al fine di dare loro l’istruzione necessaria e divenire operai specializzati.
L’organizzazione operaia era piramidale, dai garzoni al capo-galleria, e aveva al vertice il capitano delle miniere che era responsabile dell’esplorazione. Nel marzo 1861 la distribuzione del personale nelle Ferriere, per profili professionali, era la seguente:
  • Funzionario macchinista (1);
  • Sottocapo veterano (1);
  • Artefice veterano (1);
  • Capo officina (1);
  • Sorvegliante (1);
  • Falegnami (9);
  • Aiutante falegname (1);
  • Forgiaro opere grosse (6);
  • Aiutanti forgiari (2);
  • Limatori (6);
  • Chiodaroli (9);
  • Battimazza (4);
  • Ribattitore (1);
  • Piperniere (1);
  • Accieri (1);
  • Manuali (16);
  • Fornacieri (29);
  • Staffatori (30);
  • Ribattitori (30);
  • Raffinatori (16);
  • Magliettieri (6);
  • Forgiatori di opere grosse (5);
  • Armieri di diverse arti (100);
  • Mulattieri (80);
  • Bovari (30);
  • Minatori (90);
  • Corriere della posta (1);
  • Aiutante della posta (2);
  • Guardia canali (1);
  • Guardia carbonile (2);
  • Aiutante carbonile (1);
  • Capigelleria (4);
  • Garzoni minatori (12);
  • Garzoni officina (11);
  • Allievi (2);
  • Carbonieri (250).
I minatori, i carbonieri e i trasportatori erano pagati a cottimo con una retribuzione proporzionale o comunque specificamente riferita alla quantità di prodotto lavorato e, a lavoro terminato, gli operai impiegati presso le Reali Ferriere e Officine di Mongiana erano pagati invece con un fisso e in genere a giornata.
Il tutto avveniva secondo le norme prescritte dal Ministero delle Finanze e, anche se non esisteva un vero e proprio libro cassa della contabilità, all’atto dei pagamenti le somme assegnate venivano ufficialmente annotate in appositi registri contabili.
 
La religiosità
La Chiesa, legata al culto della Beata Vergine delle Grazie, oltre ad essere il reperto meglio conservato è anche l’edificio più vecchio del paese.
Il progetto fu elaborato dal Genio Militare e realizzato in muratura nel 1819 - 1821 nello stesso luogo dove sorgeva l’originaria cappella in legno risalente al 1791, edificata come cappella per la truppa delle stesse dimensioni di quella precedente.
La nuova Chiesa, secondo le usanze pre-napoleoniche, doveva assolvere anche da luogo di sepoltura. La cosa però non fu gradita dai Mongianesi che, per evitare che i loro cari fossero seppelliti nella lontana Fabrizia, ottennero la realizzazione di un cimitero fuori mura.
La vicenda della costruzione della Chiesa manifesta quanto la comunità Mongianese fosse religiosa e desiderosa di avere un luogo di culto proprio. I Mongianesi, infatti, non solo contribuirono di tasca propria ma prestarono addirittura la mano d’opera necessaria alla costruzione durante il tempo libero.
Il 16 ottobre 1852 il re di Napoli Ferdinando II, in visita per la seconda volta a Mongiana, diede incarico di potenziare ulteriormente gli stabilimenti e volle che anche la Chiesetta del paese fosse convenevolmente ingrandita e decorata. La direzione dei lavori fu affidata all’ingegnere Savino e fu completata nel 1855. In tale occasione il Re donò alla Chiesa una campana realizzata nella locale fonderia.